Un problema che da sempre ha animato la vita dei cacciatori è quello dei
diritti di precedenza che ha un cacciatore contro tutti gli altri, rispetto alla selvaggina
da lui per primo trovata, levata, allettata col fischio, o in altro modo;
ed anche a quella puntata, fermata, levata, inseguita dal suo cane o da lui ferita.
Nel corso dei secoli si erano formate delle solide consuetudini rispettate dai
cacciatori e applicate anche dai giudici. E cioè:
a) Il diritto del cacciatore su l'animale, al quale ha sparato anche solo ferendolo;
b) Il diritto di sparare, e solo lui, all'animale puntato, fermato, o comunque
levato dal suo cane o dai suoi cani.
c) Il diritto di seguito, già così denominato a significare che nelle cacce a
inseguimento coi cani, la selvaggina, finché non siasi sottratta del tutto a tale
inseguimento rimane di dominio venatico di chi l'ha levata e posta in caccia,
dei cani di esso e dei cooperatori suoi.
d) diritto che sopra gli appostamenti di caccia, siano essi temporanei o fissi,
venga rispettata l'osservanza delle distanze imposte sia dal danno presumibile,
che una concorrenza troppo vicina possa portare a la proficuità della caccia
stessa, oppure dal pericolo nascente per l'uso di armi da fuoco.
La LC del 1939, all’art. 2, creava una apposita norma secondo la quale in
terreno libero la selvaggina appartiene a chi la uccide o la cattura. Peraltro
essa appartiene al cacciatore che l'ha scovata finché non ne abbandoni
l'inseguimento,e quella palesemente ferita al feritore. S'intende libero il terreno non
costituito in bandita o in riserva o non precluso, comunque, alla libera caccia.
La LC del 1992, all’art. 12 comma 6 ha scritto solamente che la fauna selvatica
abbattuta durante l'esercizio venatorio nel rispetto delle disposizioni
della presente legge appartiene a colui che l'ha cacciata.
Norma oscura e maldestra, scritta da chi, nello scrivere una norma a tutela
degli animali, poco si curava dei problemi del cacciatore, visto più come un
elemento di disturbo che come un collaboratore indispensabile per mantenere
un equilibrio ecologico collassato per fenomeni ambientali. Eppure ci voleva
poco a mantenere il frutto di una saggezza secolare.
Il solo fatto di limitare la norma alla selvaggina abbattuta, significa non
aver capito nulla, perché si immagina che il termine appartenere voglia dire
mettersi in tasca! Invece il termine appartenere sta a significare il diritto di
cacciare l’animale dal momento della sua individuazione fino al suo abbattimento
perché lo sport della caccia è basato su tutto un complesso di attività per
giungere all’abbattimento, attività su cui altri cacciatori non devono interferire.
Perciò la norma ignora i problemi del diritto ad inseguire l’animale scovato,
cosa che impedisce l’abbattimento da parte di chi non ha iniziato la caccia e fa16
vorisce chi, in sostanza, gliela ruba. Ignora anche tutte le operazioni di disturbo
che ostacolano chi sta cacciando un capo di selvaggina dal pervenire al suo
abbattimento.
Inoltre che cosa vuol dire appartiene a colui che l'ha cacciata? Sembra che
la norma voglia distinguere fra l’atto finale dello abbattere e quello precedente
di cacciare ed allora la norma potrebbe significare che comunque il capo appartiene
a chi lo ha scovato, braccato, ferito. Soluzione errata, perché non si è
capito che la condotta illecita viene spesso posta in essere proprio abbattendo il
capo cacciato da altri e che è proprio l’abbattimento ad essere un atto scorretto
nei confronti di chi stava cacciando l’animale. Il cacciatore non va a caccia solo
per portarsi a casa un pezzo di carne, ma principalmente per l’emozione e la
soddisfazione di aver trovato, scovato, inseguito, colpito un selvatico ed è cosa
illecita sostituirsi a lui nell’abbattimento.
Perciò la norma, per non aver compreso ciò di cui stava parlando, rende lecita
proprio la condotta che prima era sempre stata considerata vietata!
Se si abbandonano i precisi parametri tradizionali che facevano riferimento
al diritto di chi scova l’animale e di chi lo ferisce in modo palese (tale da far
capire che l’animale è ormai menomato) la norma diviene un vuoto gioco di
parole, priva di significato concreto.
Comunque, almeno sul piano astratto, la norma, priva di sanzione, crea comunque
un diritto del cacciatore sul selvatico cacciato, diritto tutelato solo sul
piano civilistico. È certo, ad es., che se un cacciatore ha ucciso un selvatico e
un altro cacciatore raccoglie la preda e se la porta via, vi è il diritto civilistico
di riavere il capo o il suo corrispettivo.
Ci si può anche chiedere se in ciò sia ravvisabile un reato penale. Nel 1918
la Cassazione aveva configurato il reato di furto in un caso analogo in cui i selvatico
ferito era sotto i controllo dei cani dello sparatore. La regola può essere
ancora valida ora perché nel momento in cui l’animale è ucciso o immobilizzato,
il cacciatore ne ha già di fatto una detenzione che non richiede un contatto
materiale con l’animale. Non si può ravvisare alcun reato nel caso di animale
solamente scovato ed inseguito oppure ferito.
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