Le Dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT) servono ad esprimere, in previsione di una futura eventuale incapacità di autodeterminarsi, il consenso o il rifiuto rispetto a trattamenti sanitari, terapie ed esami diagnostici.
Il malato può manifestare quindi anche il rifiuto alle cure mediche. In altre parole, può escludere determinati trattamenti che possano dar luogo ad accanimento terapeutico, produttivo di inutili sofferenze per chi è malato terminale e non intende soffrire per causa della medicina. Il punto però è che, quando si è in fin di vita, non sempre si è nelle condizioni di esprimere tale volontà. Ecco perché è stata introdotta la normativa relativa al cd. testamento biologico.
Una recente pronuncia della Suprema Corte (ordinanza n. 12998/2019) è intervenuta su questo delicato argomento, stabilendo la possibilità per un malato di nominare un amministratore di sostegno designato dallo stesso per rifiutare le cure in caso di sua impossibilità a prestare dissenso.
Nel 2015 una signora ricorreva al Giudice tutelare chiedendo di essere nominata come amministratore di sostegno del marito, essendo stata già designata dallo stesso nella funzione. Il giudice tutelare respingeva la richiesta ritenendo l’uomo pienamente capace di intendere e di volere.
Avverso il decreto i coniugi proponevano reclamo alla Corte d’Appello che rigettava il gravame seguendo la valutazione circa la piena capacità dell’uomo e osservava che il diritto di rifiutare determinate terapie fosse al di fuori dell’ambito di applicazione dell’istituto dell’amministrazione di sostegno e non tutelabile dallo stesso. Avverso il provvedimento i coniugi proponevano ricorso per Cassazione, sulla base di quattro motivi che la Corte esamina e ritiene fondati. La massima “attraverso la scelta dell’amministratore da parte del beneficiario è possibile esprimere, nella richiesta di amministrazione di sostegno, ai sensi del combinato disposto degli artt. 406 e 408 c.c., proprio l’esigenza che questi esprima, in caso di impossibilità dell’interessato, il rifiuto di quest’ultimo di determinate terapie. Tale esigenza rappresenta la proiezione del diritto fondamentale della persona di non essere sottoposto a trattamenti terapeutici, seppure in via anticipata, in ordine ad un quadro clinico chiaramente delineato”.
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