Le norme da cui deriva l’obbligo di diligente custodia delle armi sono le
seguenti.
L’art. 20 della legge 110/1975 stabilisce genericamente che "la custodia
delle armi da guerra e comuni da sparo ... e degli esplosivi deve essere assicurata
con ogni diligenza nell’interesse della sicurezza pubblica".
Con legge 12 luglio 1991 n. 203 è stato poi aggiunto un articolo 20 bis che
punisce chi trascura di adoperare nella custodia delle armi da guerra o comuni
da sparo, munizioni ed esplosivi le cautele necessarie per impedire che minori
di diciotto anni, persone incapaci anche parzialmente, tossicodipendenti o persone
imperite nel loro maneggio, giungano ad impossessarsene agevolmente.
È prevista l’emanazione di un regolamento che stabilisca le misure da adottare
per la custodia delle armi nelle abitazioni (D. L.vo 204/2010)
Queste norme hanno abrogato l’art 702 CP che puniva "chi trascura di adoperare
nella custodia delle armi, le cautele necessarie ad impedire che alcuna
delle persone indicate (cioè minori di anni 14, incapaci, inesperti nel maneggio
di armi) giunga ad impossessarsene agevolmente".
Lo stesso art. 20 bis, primo comma, prevede poi una condotta che più propriamente
avrebbe dovuto essere definita come "incauto affidamento di armi"
per chi consegna a minori degli anni 18, che non siano in possesso della licenza
dell'autorità, ovvero a persone anche parzialmente incapaci, a tossicodipendenti,
a persone imperite nel maneggio delle armi, un'arma da guerra o un'arma
comune da sparo. L'incauto affidamento deve essere distinto dal comodato e
dalla cessione di armi i quali sono atti formali i quali sono legittimi solo sa il
ricevente è munito di porto d’armi o di nulla osta all’acquisto.
Gli art. 20 e 20 bis L. 110/75, per espressa formulazione, si riferiscono solo
alle armi da sparo regolate dalla legge 110/1975, mentre è stato abrogato l’art.
702 CP che si riferiva ad ogni tipo di arma propria. Perciò ora non è previsto
alcun obbligo di diligenza nel custodire un pugnale o un tirapugni o una bomboletta
di gas lacrimogeno. Dalla lettera della legge risulta inoltre che il dovere
di custodia concerne solo armi intere e non parti di armi e che non concerne le
munizioni. Per contro l’art. 20 bis richiama anche le munizioni, ma esclude la
categoria dei giocattoli pirici.
Ritornando ora alla custodia delle armi, il problema che si pone è duplice:
a) debbono individuarsi quali sono in genere le norme di diligenza da adottare
nella custodia delle armi al fine di impedire la loro sottrazione;
b) debbono individuarsi le norme di diligenza da adottarsi in ambito domestico
per impedire che le armi finiscano nelle mani di persone minori od incapaci
od inesperte;
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La Cassazione non si è mai posto il problema di ricollegare queste norme
con altre che regolano la detenzione e l’uso delle armi e quindi ha più volte affermato
che l’art. 20 della legge n. 110 del 1975 indica genericamente un dovere
di massima diligenza senza specificare, in concreto, il suo contenuto, così
che spetta al giudice del merito stabilire se, in rapporto alle contingenti situazioni,
l’agente abbia o meno custodito l’arma con diligenza nell’interesse della
sicurezza pubblica. (Cass., 15 dicembre 1986, n. 14120).
Essa ha poi affermato che è manifestamente infondata in relazione all’art.
25 della Costituzione la questione di legittimità costituzionale dell’art. 20 della
legge n. 110 del 1975 (primo comma, prima parte) concernente la custodia delle
armi e degli esplosivi, sotto il profilo che la citata norma, prevedendo il precetto
con estrema indeterminatezza, lascerebbe alla discrezionalità
dell’interprete la configurazione del reato (Cass., 17 marzo 1983, n. 2068).
Di conseguenza i giudici hanno dovuto industriarsi a decidere, senza disporre
di alcun criterio guida, circa la diligenza da adottarsi nei vari casi,
creando una situazione di totale incertezza giuridica poiché sovente mancavano
loro le conoscenze specifiche per individuare il livello di pericolosità dell’arma
e la conoscenza delle situazioni in cui talvolta chi usa o porta armi, deve operare.
È facile comprendere come sia difficile far coincidere i giudizi soggettivi di
chi, ad esempio, ha un sacro terrore delle armi, lancia gridolini di terrore solo a
vederle, vorrebbe eliminarle tutte, pensa che ogni volta che escono dalla cassaforte
siano un pericolo, con quelli di chi con le armi ci lavora, con le armi ci difende
la propria vita, con le armi ci pratica sport.
Nel valutare le situazioni occorre infatti tener presente:
a) sono ovviamente diverse le cautele da adottarsi per una pistola da difesa
e quelle per una pistola ad aria compressa, quelle per un’arma moderna e quelle
per un’arma in calibro desueto e non più reperibile, quelle per un fucile da caccia
e quelle per una lanciarazzi.
b) chi per sue legittime necessità ha a che fare con le armi, non può sempre
evitare di trovarsi in situazioni “critiche” ai fini della custodia: il cacciatore dovrà
portare le armi in albergo e lasciarle in camera quando mangia; la guardia
del corpo dovrà in alcuni momenti della giornata, liberarsi dell’arma; chi porta
l’arma per difesa e deve entrare in una banca o in un edificio controllato, dovrà
lasciare la pistola per qualche minuto in auto, e così via. Chi ha una pistola da
segnalazione sulla barca, deve tenerla a portata di mano per l'uso immediato in
situazioni di emergenza e quando scende dalla barca, non può portarsela con sé
alla cintura, ecc.
Attraverso l’esame della giurisprudenza si evidenziano quali sono le situazioni
tipo che i giudici si trovano a risolvere e cioè:
- a quali familiari occorre impedire di impossessarsi dell’arma
- come custodire l’arma nella propria casa;
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- come custodire l’arma in albergo;
- come custodire l’arma su di un’auto;
- quando si commette reato smarrendo l’arma
Nell’esame dei problemi iniziamo dalla prima ipotesi perché ci dimostra
subito in quale modo semplicistico sia stato affrontato il problema.
Come abbiamo visto l’art. 20 bis, aggiunto dalla legge 12 luglio 1991 n.
203, punisce chi trascura di adoperare nella custodia delle armi le cautele necessarie
per impedire che minori di diciotto anni o persone incapaci o tossicodipendenti
o persone imperite nel maneggio di un’arma, giungano ad impossessarsene
agevolmente. Esso quindi, in alcuni casi, specifica ed integra il disposto
dell’art. 20, ma, in via generale, regola la condotta del detentore di armi
riguardo alle persone che frequentano legittimamente i luoghi in cui egli dimora
o che coabitano con lui.
Orbene, se si considera che un’arma da difesa viene acquistata non per
chiuderla in una cassaforte, non per tenerla smontata e suddivisa in cinque cassetti,
non per tenerla scarica ed usarla come fermacarte, ma essenzialmente per
difendersi in caso di pericolo, si comprenderà quanto siano aberranti le idee di
quei giudici e commissari di PS i quali affermano che l’arma deve essere conservata
in modo da non essere direttamente utilizzabile: è la legge stessa che
consentendo di detenere l’arma, implicitamente ne autorizza l’uso con modalità
tali da rendere effettiva la possibilità pratica di un loro utile impiego. Sta poi al
detentore di valutare caso per caso la sua situazione familiare e di regolarsi in
modo da evitare abusi dell’arma ed incidenti. Chi abita da solo come un eremita
potrà tranquillamente tenere l’arma carica sul comodino; chi ha dei bambini
per casa, potrà tenere l’arma carica, ma in un luogo inaccessibile ai bambini; se
ha una nuova domestica l’arma dovrà essere chiusa in un cassetto.
Se però in casa vi sono solo persone di sicura affidabilità, a cui sono state
ben spiegate le cautele da usare per le armi, non si deve adottare alcuna speciale
misura per evitare che esse vengano a contatto con l’arma. Sarebbe del resto
assurdo che, ad esempio, il marito fosse tenuto ad avere per la pistola un cassetto
chiuso a chiave, in cui la moglie non può mettere il naso. A parte la considerazione
che, salvo disporre di una cassaforte con codice segreto (ma che
renderebbe inutile l’arma ai fini della difesa), sarebbe del tutto impossibile evitare
che un familiare fermamente intenzionato a farlo, riesca, prima o dopo, ad
aprire il cassetto o l’armadio in cui un’arma viene custodita. Si consideri del
resto che per detenere un’arma non occorre alcun certificato di idoneità al maneggio
delle armi (almeno fino al 1° luglio 2011), ma basta essere incensurati e
sani di mente; perciò se io ho acquistato un’arma e la porto in casa ove è mia
moglie, incensurata e sana di mente, essa ha lo stesso identico mio diritto di
acquistare armi e di maneggiarle e lo stesso identico mio diritto di usarle per
difendersi in caso di necessità ed io debbo impedirle di accedere all’arma solo
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se è incapace o malata di mente. In altre parole l’arma non viene acquistata e
detenuta solo per la difesa dell’acquirente, ma per la difesa dell’abitazione da
parte di tutti coloro che vi abitano, con la conseguenza che nel nostro diritto
non esiste affatto il principio che il detentore di un’arma deve precludere ai
propri familiari la possibilità di usarne.
Deve essere quindi considerata del tutto erronea l’interpretazione che sic et
simpliciter considera imperite tutte le persone che non sono autorizzate a detenere
armi e quindi tutti i familiari del detentore dell’arma! Nel nostro diritto
l’idoneità al maneggio delle armi è richiesta esclusivamente per portarle in
luogo pubblico o aperto al pubblico e non è affatto richiesta per detenerle e
maneggiarle nella propria abitazione e sue pertinenze.
Conseguenza di ciò è che la norma deve necessariamente essere interpretata
nel senso che non esiste la categoria astratta delle persone imperite, individuabile
in base a caratteristiche formali, ma che bisogna, caso per caso, valutare se
la persona venuta in possesso dell’arma mal custodita, possedeva quel minimo
di bagaglio culturale, generico e specifico, quel minimo di intelligenza e ponderazione
che le consentisse di percepire la pericolosità dello strumento e le
precauzioni da adottarsi nel suo uso. In questo senso ben si può affermare che
la diligenza richiesta per la custodia di un’arma può essere soddisfatta semplicemente
istruendo i familiari sulle cautele richieste dal suo maneggio.
Se si esaminano i casi giunti all’esame della Cassazione si scopre, come era
da attendersi, che essa si è trovata di fronte a casi concreti in cui un figlio era
andato a scuola con la pistola, la moglie si era ferita con il fucile da caccia, il
bambino aveva preso la pistola del padre per giocare con gli amici, casi rispetto
ai quali il giudizio di colpevolezza, avvenendo ex post e sulla base del senno di
poi, era agevole e scontato: se mia moglie spolverando i mobili si ferisce con la
pistola lasciata carica sul tavolo è facile affermare che io ho violato la regola di
diligenza che impone, non di nascondere l’arma carica, ma di avvertire chiaramente
mia moglie che l’arma è carica e che deve stare attenta; se mio figlio di
dieci anni prende la pistola e la porta a scuola, io non vengo condannato perché
non ho tenuto l’arma in cassaforte, ma perché non mi sono reso conto di avere
un figlio cretino; se ho un figlio drogato che si vende la mia pistola per una bustina,
non verrò condannato perché non ho smontato l’arma, ma perché non ho
previsto la condotta criminosa di mio figlio, del tutto prevedibile con la normale
diligenza.
Il fatto che i giudizi della Cassazione siano normalmente ex post è alquanto
pericoloso perché, da un lato, è molto facile cadere nel vizio logico del post
hoc, propter hoc, dall’altro perché sentenze che hanno esaminato casi assolutamente
particolari e specifici, vengono poi presentate come massime di valore
assoluto. In effetti, come vedremo, è quasi impossibile dettare delle regole di
diligenza generali.
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Vediamo ora quali siano le conclusioni da trarsi da queste premesse, in ordine
alla interpretazione ed applicazione dell’art. 20 bis.
1) La legge pone una specie di presunzione di incapacità e pericolosità per i
minori di 18 anni, presunzione eccessiva perché se un minorenne vuole uccidere
qualcuno, corre senz’altro minori pericoli ad investirlo con il ciclomotore
che a sparargli con la pistola del padre! È al di fuori di ogni esperienza il ritenere
che il detentore di un’arma la debba occultare anche al figlio sedicenne
che può essere responsabile ed esperto quanto il padre. Molto più ragionevole
la norma dell’art. 720 CP che poneva il limite di età a 14 anni e che è stata
sommariamente modificata dal Parlamento per limitare il fenomeno di minorenni
armati da adulti per commettere reati, senza considerare che sarebbe stato
meglio punire più severamente la cessione dolosa di armi ai minori.
2) La legge pone un’ulteriore presunzione per le persone incapaci, vale a dire
interdette o naturalmente incapaci di intendere o volere per malattia; nulla vi
è da osservare su questa disposizione, di indubbia ragionevolezza.
3) La legge, al primo comma dell’art. 20 bis, vieta di consegnare armi a
persone anche parzialmente incapaci o tossicodipendenti e quindi, in sostanza,
impone al detentore di un’arma di tener conto dell’equilibrio psichico delle
persone con cui ha a che fare e gli fa una colpa se non usa la massima prudenza
nella valutazione. Si deve ritenere, pur in mancanza di una esplicita previsione,
che il detentore dell’arma debba tener conto anche della personalità del familiare:
se, ad esempio, il familiare frequenta ambienti equivoci, sarà tenuto a
prevedere la sottrazione della sua arma per abusarne oppure che si porti in casa
amici poco affidabili. Il fatto che la legge parli di “parziale incapacità” induce a
ritenere che il detentore si debba preoccupare di ogni vizio psichico e caratteriale
delle persone che frequentano la sua abitazione e quindi, ad esempio, anche
di alcol-dipendenza.
4) La legge non esclude affatto che si possa essere puniti anche quando la
mancanza di diligenza non abbia in concreto provocato alcuna sottrazione di
arma od alcun incidente; nella stragrande maggioranza dei casi l’accertamento
del reato avverrà sulla base di una concreta conseguenza della mancata diligenza
e, perciò, la colpa sarà in re ipsa, salvo la dimostrazione di aver fatto tutto
quanto era doveroso.
5) La legge non impone di precludere l’accesso alle armi ai familiari che
siano maggiorenni e sani di mente e siano stati informati sulle norme di precauzione
da usarsi; si ricorda che la legge presume l’idoneità al maneggio delle
armi per tutti coloro che abbiano prestato servizio militare.
6) Il giudizio del giudice sulla congruità delle precauzioni dovrà essere fatto
in concreto e dovrà tener conto del fatto che l’arma deve essere comunque utilizzabile
per la difesa, della congruità delle istruzioni impartite ai familiari, delle
consuetudini di vita familiari, ecc.. In una famiglia normale, senza bambini
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piccoli e con ragazzi sanamente educati, l’esperienza insegna che è più che sufficiente
dire alla moglie, ai figli o alla domestica fidata “attenti che sopra
all’armadio c’è la pistola carica, non toccatela se non in caso di emergenza”; se
vi sono bambini piccoli o la domestica non è fidata, o il figlio dodicenne ama
troppo i film di Rambo, sarà consigliabile tenere la pistola in un cassetto a cui
essi non possono accedere facilmente. È ovvio però che se la “fidatissima domestica”
si innamora di un delinquente e gli regala la nostra pistola, non potremo
essere considerati in colpa per l’errata valutazione sulla sua persona.
Passiamo ora all’interpretazione dell’art. 20 della legge 110/1975.
Nell’interpretazione dell’art. 20 potrebbe sorgere il dubbio se esso imponga
obblighi solo in relazione alla custodia dell’arma come oggetto, per evitarne il
furto o l’uso illecito, come ricavabile dalla lettera della disposizione, oppure se
esso possa essere interpretato anche nel senso che chi ha l’arma deve adottare
nel maneggio ogni cautela necessaria per evitare incidenti. La lettera della legge,
come detto, non pare lasciare dubbi in proposito perché il titolo
dell’articolo esplicitamente fa riferimento solo al furto e smarrimento dell’arma
e prevede l’adozione di misure antifurto per i collezionisti, mentre nulla dice
sulla diligenza nel maneggio. Vediamo le singole ipotesi sopra individuate.
Custodia nella propria abitazione
La Cassazione ha giustamente evidenziato che il domicilio normalmente
abitato, normalmente munito di porte e finestre, deve essere considerato luogo
idoneo alla custodia di armi, senza che occorra alcuna ulteriore particolare cautela.
Se un cittadino ritiene che le misure adottate per difendere i suoi preziosi
sono sufficienti, non può essere ritenuto in colpa se poi i ladri riescono comunque
ad entrare e gli portano via preziosi e pistola. Se poi i ladri, per rubare i
gioielli sfondano la porta blindata o la cassaforte, non si potrà di certo fare una
colpa al cittadino per non aver nascosto la pistola ... nella cassaforte!
Ho parlato di abitazione “normale” perché, come nella favola dei tre porcellini,
solo la casa in pietra e con buoni serramenti si presume idonea a resistere
“al lupo”. Quindi non si può ritenere sicura una capanna, una roulotte, uno yacht,
e chi fosse costretto a lasciare un’arma in essi, dovrebbe curare, quantomeno,
di nasconderla in modo adeguato.
È poi appena il caso di dire che occorre comunque evitare comportamenti
imprudenti: non bisogna nascondere la chiave di casa sotto lo zerbino, non bisogna
lasciare le finestre aperte se si abita a piani bassi o facilmente scalabili, e
così via.
È anche chiaro che le regole di custodia sono posto per il caso in cui la dimora
sia disabitata; quando una persona è presente fisicamente, la sua presenza
è il miglior “antifurto” possibile.
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Custodia dell’arma in albergo
Chi è in viaggio con armi può trovarsi nella necessità di lasciarle depositate
temporaneamente da qualche parte e non può certo affidarle al cameriere o al
portiere dell’albergo.
Come regola generale si deve affermare il principio che la camera d’albergo
non è un luogo che dia sufficienti garanzie di sicurezza per la custodia di armi.
Unica eccezione è quella in cui la camera dispone di apposita cassaforte per i
clienti, destinata per definizione proprio a custodire cose che non si vuole siano
sottratte. Se l’arma è troppo grande per entrarvi, potrà essere sufficiente il nascondervi
una parte essenziale (infatti già abbiamo detto come non si possa
configurare l’omessa custodia se viene rubata solo una parte di arma).
È molto discutibile se sia consentito di affidare l’arma ai responsabili
dell’albergo per la custodia nella cassaforte comune; personalmente propenderei
per la risposta negativa e riterrei consentito solo l’affidamento (in plico
chiuso) di parti dell’arma, il che comunque è più che sufficiente per rispettare
gli obblighi di legge.
Custodia dell’arma in un’autovettura
Indubbiamente un’auto parcheggiata all’aperto sulla pubblica via non può
essere considerata, in via generale, un luogo sicuro, tenendo presente la nozione
di comune esperienza secondo cui un ladro riesce ad aprire il veicolo in poche
decine di secondi e, se vuole, può riuscire a metterla in moto ed a fuggire
in un tempo di poco maggiore.
Vi sono però delle circostanze in cui si può escludere, con grandissima sicurezza,
che un furto possa avvenire: si pensi ad esempio all’auto parcheggiata
di giorno in un piccolo paese in cui tutti si conoscono, all’auto parcheggiata di
giorno in zona a bassa criminalità e dove vi è traffico di persone, all’auto parcheggiata
in un parcheggio custodito, all’auto munita di sicuro impianto
d’allarme così che la sua forzatura richiamerebbe l’immediata attenzione dei
numerosi passanti. Ritengo che sarebbe del tutto irreale l’affermare che vi siano
maggiori probabilità statistiche di un furto sull’auto, o dell’auto, in quelle
situazioni rispetto ad un furto in appartamento o in una villetta isolata.
Quindi se chi porta una pistola per difesa deve recarsi in una banca in cui
non si può entrare con armi e lascia la sua arma per poche decine di minuti nel
bagagliaio dell’auto, parcheggiata di fronte alla banca nei pressi della guardia
giurata e con l’allarme inserito, non potrà essere di certo accusato di mancata
custodia.
Smarrimento di un’arma
Anche se l’art. 20 non lo dice espressamente, appare ragionevole ritenere
che il dovere di diligente custodia sia finalizzato sia ad evitare furti che smar93
rimenti dell’arma e non vi è dubbio che debba essere considerato poco diligente,
ad esempio, il cacciatore che appoggi il fucile ad un albero e poi se ne vada
dimenticandoselo Se però è vero che il possessore di un’arma deve porre una
particolare attenzione nel non smarrire l’arma, è anche vero che, come già visto
sopra, non vi sarebbe cosa più sbagliata di ritenere, come purtroppo fanno molti
giudici, che ogni smarrimento è necessariamente la conseguenza di una insufficiente
custodia. In questo, come in tutti i casi di responsabilità per colpa, la
colpa non può mai essere desunta dall’evento od essere presunta, ma deve essere
provata dall’accusa sulla base delle note regole in materia di colpa.
Abbandono di arma
Avviene spesso che il cacciatore metta il fucile in auto o appoggiata ad essa
e poi si stenda in un prato a riposare; arriva il guardacaccia e gli contesta di
aver abbandonato l’arma senza adeguato controllo.
Sono situazioni in cui è difficile capire come il giudice possa fare affidamento
sullo scaro discernimento di molti agenti accertatori i quali, a seconda
dei casi considerano abbandonata l’arma quando il cacciatore è a 10 o a 50 o a
100 metri. Si tratta ovviamente di un giudizio difficilissimo che può dare solo
qualche certezza quando il cacciatore non è nelle condizioni di controllare per
tempo che nessuno si avvicini e prenda l’arma contro la sua volontà. Se egli, in
base allo spazio di visuale, alla natura del terreno e ad ogni altra circostanza è
in grado di intervenire, non vi è omessa custodia.
Reati
Omessa custodia di armi ex art. 20 L. 110/1975: arresto da uno a tre mesi o
ammenda fino ad € 516.
Affidamento illecito di armi ex art. 20 bis L.110/1975:
a) consegna a minori, incapaci, imperiti: arresto fino a due anni;
b) idem se il fatto è commesso in poligoni o campi di tiro o ove si svolge attività
venatoria: ammenda da € 154 ad € 516;
c) mancata adozione di cautele per impedire che gli stessi vengano in possesso
delle armi: arresto fino ad un anno o ammenda fino a € 1.032
d) ipotesi di cui alle lettere a) e b) aventi per oggetto armi o munizioni da
guerra, esplosivi o armi clandestine: reclusione da uno a tre anni.
Giurisprudenza
Nota: Le sentenze della Cassazione, pur severe, dimostrano quanto la corretta
interpretazione delle norme sia lontana da certi deliri burocratici che impongono
di tenere le armi in casseforti o smontate o che denunziano per omessa
custodia tutti coloro che vengano derubati in casa..
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• L'obbligo di diligenza nella custodia delle armi previsto dall'art.20 della
legge 18 aprile 1975 n.110, quando non si tratti di soggetti che esercitino professionalmente
attività in materia di armi ed esplosivi, deve ritenersi adempiuto
alla sola condizione che risultino adottate le cautele che, nelle specifiche situazioni
di fatto, possono esigersi da una persona di normale prudenza, secondo il
criterio dell' id quod plerumque accidit. (Nella specie, in applicazione di tale
principio, la S.C. ha cassato senza rinvio la decisione con la quale era stata ritenuta
la penale responsabilità di un soggetto il quale aveva tenuto le armi nella
propria abitazione, munita soltanto dei normali mezzi di chiusura, in un armadio
e in una valigia posta sotto il detto mobile). *Cass., 21 gennaio 2000, n.
1868.
• In tema di armi, la particolare diligenza nella custodia imposta dalla legge
al collezionista incontra un limite oggettivo nel comportamento altrui in ordine
al quale il soggetto gravato dall'onere della custodia non abbia potere di controllo
o sindacato, neanche sotto il profilo della responsabilità per culpa in vigilando.
(Nella fattispecie il collezionista s'era dotato di ogni rimedio contro la
possibile effrazione della propria abitazione - sistemi di allarme antifurto, porta
blindata - i quali tuttavia erano stati lasciati temporaneamente disattivati dal
coniuge convivente). *Cass., 14 luglio 2000, n. 10085.
• L'obbligo di diligenza nella custodia delle armi può ritenersi adempiuto
quando un'arma, anche carica, venga lasciata all'interno della camera da letto di
un'abitazione occupata solo da due persone adulte e posta in luogo isolato, distante
circa due chilometri dal più vicino centro abitato. *Cass., 8 maggio
2003, n. 24060
• L'art. 20 comma primo prima parte della legge 18 aprile 1975, n. 110
(omissioni di cautele necessarie per la custodia di armi e esplosivi) indica genericamente
un dovere di massima diligenza, senza specificare, in concreto, il suo
contenuto. Compete, quindi, al giudice di merito stabilire se, in rapporto alle
contingenti situazioni, l'agente abbia custodito l'arma con diligenza nell'interesse
della sicurezza pubblica. Tale giudizio è incensurabile in cassazione, qualora
la motivazione sia logica e congrua. (Nella specie è stata ritenuta non diligente
la custodia di due fucili da caccia lasciati in vettura a porte chiuse, in considerazione
della facilita e frequenza con cui il furto può essere perpetrato). *Cass.,
13 maggio 2004, n. 24271
• L'obbligo di diligenza nella custodia delle armi previsto dall'art. 20 della
legge 18 aprile 1975 n. 110, quando non si tratti di soggetti che esercitino professionalmente
attività in materia di armi ed esplosivi, deve ritenersi adempiuto
alla sola condizione che risultino adottate le cautele che, nelle specifiche situazioni
di fatto, possono esigersi da una persona di normale prudenza, secondo il
criterio dell'id quod plerumque accidit. (Nella specie, la Corte ha annullato
senza rinvio la decisione di condanna di un soggetto il quale aveva tenuto due
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fucili da caccia sopra un armadio all'interno della propria abitazione, dotata di
porte blindate e di inferriate alle finestre). *Cass., 6 ottobre 2004, n. 46265.
• In forza del principio di tassatività, non è configurabile il reato di inosservanza
del dovere di diligenza nella custodia di armi ed esplosivi, previsto
dall'art. 20 della legge 18 aprile 1975 n. 110, nella negligente custodia di parte
di un'arma (nella specie, caricatori muniti di proiettili). *Cass., 21 dicembre
2004, n. 4659
• L'omessa custodia di munizioni non rientra nella previsione dell'art. 20,
primo comma, della legge n. 110 del 1975, in quanto la condotta punibile deve
intendersi riferita solo all'omessa custodia di armi ed esplosivi e non anche delle
munizioni. *Cass., del 27 gennaio 2005, n. 5112.
• Integra il reato di cui all'art. 20, comma primo, prima parte, e comma secondo,
L. 18 aprile 1975 n. 110 (omissioni di cautele necessarie per la custodia
di armi ed esplosivi) la condotta di colui che lascia un fucile da caccia all'interno
di un'autovettura parcheggiata in una zona dove é possibile l'esercizio di attività
venatoria, sussistendo la concreta possibilità che estranei entrino agevolmente
in possesso dell'arma lasciata alla loro portata. *Cass., 30 marzo 2006, n.
13006
• Il reato di omessa custodia di armi (art. 20 bis L. n. 110 del 1975) è un
reato di mera condotta e di pericolo che si perfeziona per il solo fatto che l'agente
non abbia adottato le cautele necessarie, sulla base di circostanze da lui
conosciute o conoscibili con l'ordinaria diligenza, indipendentemente dal fatto
che una delle persone indicate dalla norma incriminatrice - minori, soggetti incapaci,
inesperti o tossicodipendenti - sia giunta a impossessarsi dell'arma o
delle munizioni, in quanto è necessario che, sulla base di circostanze specifiche,
l'agente possa e debba rappresentarsi l'esistenza di una situazione tale da
richiedere l'adozione di cautele specifiche e necessarie per impedire l'impossessamento
delle armi da parte di uno dei soggetti indicati. *Cass., 30 ottobre
2007, n. 45964.
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