Sebbene gli esemplari di avifauna rientrino nel patrimonio indisponibile dello Stato, la L. 157/1992 ammette e regola l’attività venatoria come “concessione che lo Stato rilascia ai cittadini che la richiedano e che posseggano i requisiti previsti dalla presente legge”, assegnando “la fauna selvatica abbattuta durante l’esercizio venatorio nel rispetto delle disposizioni della presente legge (…) a colui che l’ha cacciata”.
La caccia esercitata in luoghi in momenti in forme vietati o nei confronti di esemplari protetti è sanzionata con contravvenzioni punite dall’art. 30 L. 157/1992 a cui possono seguire, quali sanzioni amministrative accessorie, la sospensione, la revoca o l’esclusione definitiva dalla concessione della licenza di porto di fucile per uso di caccia.
Resiste tuttora il delitto di furto aggravato di avifauna ai danni del patrimonio indisponibile dello Stato (artt. 624 e 625 n. 7 cp), pur nel regime della L. 157/1992, con riferimento al caso in cui l’apprensione o il semplice abbattimento della stessa siano opera di persona non munita della licenza di caccia. Si tratta del c.d “furto venatorio”.
Con queste precisazioni la sentenza n. 8151, pronunciata dalla IV Sezione Penale della Cassazione in data 13.12.2018, conferma la costante giurisprudenza in materia di “furto venatorio”.
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