Il procedimento a carico di minori è stato introdotto nell’ordinamento giuridico italiano con il D.p.r. n. 488/1988 e successive modifiche.
La sede naturale di tale procedimento è il Tribunale per i Minorenni, un organo dalle caratteristiche peculiari, che lo differenziano da quello ordinario; una delle differenze più evidenti sta nella composizione dell'organo giudicante, infatti, unico giudice monocratico è il G.I.P. (Giudice per le indagini preliminari), mentre G.U.P. (Giudice dell’Udienza preliminare) e Giudice dibattimentale sono organi collegiali, a prescindere dal titolo di reato per il quale si proceda.
Figura attorno alla quale si articola il procedimento minorile, è quella del minore/indagato e del minore/imputato, ossia quel soggetto, infradiciottenne, che ha commesso ovvero ha tentato di commettere un reato. E' lecito quindi osservare che il fattore età è lo spartiacque per collocare un soggetto innanzi ad un tribunale ordinario piuttosto che minorile. Si rammenta, al riguardo, che sino al compimento dei 14 anni d’età il minore non è mai imputabile, nei confronti del medesimo è infatti prevista una presunzione assoluta di incapacità. È lo stesso articolo 97 del codice penale che stabilisce: «non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i quattordici anni».
Altra caratteristica peculiare del processo minorile è quella di avere come scopo primario il recupero degli aspetti positivi del minore, attraverso un percorso penale il meno possibile traumatizzante. Proprio per questo, il legislatore ha previsto e disciplinato che al minore sia assicurata un’assistenza psicologica ed affettiva durante tutto il corso del procedimento; un’assistenza che può coinvolgere direttamente e solamente i genitori oppure, questi, affiancati dai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia.
Sempre, poi, allo scopo di tutelare maggiormente il minore da future ripercussioni sociali, il legislatore ha sancito espressamente il divieto di pubblicazione e/o divulgazione d’immagini nonché di notizie del minore, così da evitare la sua identificazione. Proprio per siffatti motivi, l'udienza dibattimentale, secondo quanto disposto dall'articolo 33 D.p.R. 488/1988, si svolge a porte chiuse, salvo che l'imputato sedicenne richieda che il processo sia “pubblico” con istanza debitamente motivata.
Particolare attenzione deve poi essere rivolta alle modalità di definizione del processo minorile, anch’esse ispirate al principio di minima offensività. Nello specifico, si fa riferimento all’istituto del perdono giudiziale, alla sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto ed all’istituto della messa alla prova.
Per quanto concerne il perdono giudiziale, esso si esplica nella rinuncia da parte dello Stato alla condanna o al rinvio a giudizio, nonostante vi sia stato da parte del giudice un accertamento sulla responsabilità dell'imputato minorenne. Tale istituto può essere concesso in sede di udienza preliminare o dibattimentale, mentre è preclusa la sua concessione durante le indagini preliminari, poiché non è incluso fra i motivi che comportano l'archiviazione. Trattasi, nello specifico, di una causa estintiva del reato che può essere applicata, secondo la previsione di cui all’articolo 169 del codice penale, solo ai minori che abbiano commesso reati che importino una pena restrittiva della libertà personale non superiore nel massimo a due anni ovvero una pena pecuniaria non superiore nel massimo ad € 5.00 (anche se congiunta a detta pena). Oltre a ciò, perché possa essere concesso il perdono, il giudice che procede dovrà attutare, avendo a riferimento l’esame del fatto, una valutazione volta a stabilire, da un lato, la gravità del reato e la capacità a delinquere del colpevole, dall’altro, una valutazione circa la personalità del soggetto ed il suo comportamento contemporaneo e successivo al fatto; analisi che gli permetterà di stabilire - presuntivamente - se il minore si asterrà dal commettere ulteriori reati. In sintesi, il giudice è chiamato a compiere un giudizio prognostico sul comportamento futuro del minore in termini di ragionevole prevedibilità e quindi sulla possibilità che la mancata irrogazione della pena contribuisca al recupero dello stesso. Il perdono giudiziale non può essere concesso più di una volta.
L'articolo 27 del D.P.R. 448 del 1988, ammette invece, la possibilità che il giudice possa pronunciare sentenza di non luogo a procedere qualora risulti la tenuità del fatto e l'occasionalità del comportamento. Siffatta pronuncia è quindi subordinata ad un’accorta indagine da parte del giudice circa la valutazione di due aspetti: da un lato, la valutazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta nonché un’analisi del reo ex art. 133, co. 2, c.p. (parametri individuati dal legislatore per stabilite la “capacità a delinquere” del colpevole e quindi la sua eventuale occasionalità nella condotta), dall’altro, un’analisi relativa alla circostanza se l'ulteriore corso del procedimento possa o meno pregiudicare le esigenze educative del minore. Del resto, in conseguenza della predetta pronuncia, non viene eliminata la qualità di illecito penale del fatto posto in essere dal minore, ma viene semplicemente meno la pretesa punitiva dello Stato. Proprio per questo, il giudice si riserva nell’ambito del procedimento un momento per far comprendere al minore il disvalore sociale e giuridico della sua condotta.
Infine, abbiamo la sospensione del processo con messa alla prova del minore, un istituto del tutto peculiare che troviamo disciplinato all'articolo 28 sempre del D.P.R. 448 del 1988. Nella pratica, consente al giudice di disporre con ordinanza la sospensione del processo per un periodo massimo di tre anni, durante il quale, il minore, affidato ai servizi minorili dell'amministrazione della giustizia in collaborazione con i servizi locali, sarà sottoposto ad una prova consistente in un progetto di intervento di carattere educativo. Se, al termine del periodo di sospensione del processo, il giudice, tenendo conto del comportamento del minore e dell'evoluzione della sua personalità, ritiene che la prova abbia dato esito positivo, dichiara con sentenza di non luogo a procedere, se siamo in udienza preliminare, oppure, con sentenza di non doversi procedere qualora fossimo in fase dibattimentale[1], l'estinzione del reato. Diversamente, in caso di esito negativo della prova, il processo riprenderà il suo normale svolgimento.
La scelta dell’uno piuttosto che dell’altro procedimento deflattivo, ha dei seguiti anche per quanto concerne l’iscrizione del provvedimento nel casellario giudiziale [2] e, quindi, la segretezza del procedimento penale posto a carico del minore. Invero, sia la sentenza emessa ex art. 28 D.p.r. 448/88 che la sentenza di non luogo a procedere o non doversi procedere per irrilevanza del fatto non vengono iscritte nel casellario giudiziale disciplinato dal D.p.R. 14 novembre 2002 n. 313. Diversamente, come disciplinato dal comma 4 dell'art. 5 del D.p.R. 313/2002, il provvedimento relativo all’applicazione dell’istituto del perdono giudiziale, verrà iscritto e cancellato solamente al compimento del 21esimo anno d’età. (“Le iscrizioni di provvedimenti giudiziari relativi a minori di eta' sono eliminate al compimento del diciottesimo anno di eta' della persona cui si riferiscono, eccetto quelle relative al perdono giudiziale, che sono eliminate al compimento del ventunesimo anno, ed eccetto quelle relative ai provvedimenti di condanna a pena detentiva, anche se condizionalmente sospesa”.)
Qualunque sia, in ogni caso, la scelta del minore, debbono considerarsi tutte e tre delle modalità di definizione del procedimento che mirano a tutelare il soggetto minorenne non solo da un punto di vista individuale ma anche sociale, con particolare riferimento al suo sviluppo psicofisico.
Concludendo, si può affermare che è proprio dinanzi al giudice speciale minorile che si ha un perfetto bilanciamento tra due principi cardine del nostro ordinamento: quello di minima offensività e quello di obbligatorietà dell’azione penale di cui all’art. 112 della Costituzione.
[1] Sent. Corte Costituzionale n. 149 del 9 maggio 2009.
[2] Per maggior chiarezza espositiva: il casellario giudiziale (detto anche casellario giudiziario) nell'ordinamento giuridico italiano è uno schedario istituito presso la Procura della Repubblica di ogni tribunale ordinario della Repubblica italiana, con lo scopo di raccogliere e conservare gli estratti dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria o amministrativa, in modo tale che sia sempre possibile conoscere l'elenco dei precedenti penali e civili di ogni cittadino.
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