Il tema degli incidenti stradali e dei conseguenti danni causati dalla fauna selvatica presente sulla sede stradale è stato in passato ampiamente dibattuto, innanzitutto sotto il profilo della responsabilità da imputare alla Pubblica Amministrazione.
Da un lato un'autorevole dottrina e parte della giurisprudenza di merito (cfr. G. Alpa, M. Bessone, V.Zeno Zencovich, I fatti Illeciti, in Trattato, M. Resigno, XIV, Torino, 1995, 35; Trib. Perugia 11 dicembre 1995; Pret. Cosenza 5 luglio 1988) sostenevano, infatti, che nel caso di specie ci si trovasse si fronte ad un tipo di responsibilità oggettiva, in particolare ai sensi dell'art. 2052 c.c. Tale tesi era sostenuta in base alla legge sulla disciplina dell'attività venatoria n. 968/1977 (successivamente sostituita dalla vigente L. 157/1992), il cui art. 1 prevedeva che "la fauna selvatica italiana costituisce patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell'interesse della comunità nazionale". Con questa disposizione, pertanto, la fauna selvatica passava dal regime delle res nullius a patrimonio dello Stato e proprio da questo dato la citata dottrina e giurisprudenza sostenevano che la Pubblica Amministrazione fosse imputabile ex art. 2052 c.c. per i danni cagionati dagli animali selvatici, sulla scorta del fondamentale principio "cuius commoda,, eius et incommoda". Tale impostazione comportava notevoli conseguenze sul piano processuale, in particolare, essendo la responsabilità ex art. 2052 c.c. di tipo oggettivo, non occorreva la dimostrazione da parte del danneggiato della colpa in concreto della P.A., ma doveva essere quest'ultima a liberarsi della responsabilità provando il caso fortuito (inversione dell'onere della prova).
Dall'altro lato, la giurisprudenza di legittimità non ha mai accolto la ricostruzione dottrinale sin qui delineata, e tuttora sostiene che trattasi di un caso di responsabilità ai sensi dell'art. 2043 c.c., sul rilievo che lo stato di libertà della selvaggina è assolutamente incompatibile con qualsiasi obbligo di custodia da parte della Pubblica Amministrazione. Si dovrà applicare, perciò, il principio generale in tema di responsabilità extracontrattuale dettato dall'art. 2043, con conseguente onere da parte del danneggiato di provare il comportamento colposo ascrivibile all'ente pubblico (cfr. ex multis, Cass., Sez. III, 04 marzo 2010, n. 5202).
Altro tema dibattuto in materia riguarda l'individuazione in concreto dell'ente pubblico cui rivolgere la domanda di risarcimento dei danni; sul punto la recente sentenza del Tribunale di Vasto del 07.07.2011, ripercorre ed illustra in modo alquanto esaustivo le posizioni che si sono contrapposte nel corso degli anni.
Secondo un indirizzo prevalente, l'ente preposto alla tutela risarcitoria dei terzi danneggiati dagli animali selvatici è la regione, in quanto - come titolare del potere di controllo e gestione della fauna selvatica - essa è obbligata ad adottare tutte le misure idonee ad evitare che la detta fauna arrechi danni a persone o cose e, in caso di violazione di tale obbligo, diventa responsabile, ex art. 2043 c.c., dei pregiudizi che ne sono derivati in capo a terzi, il cui risarcimento non sia previsto da specifiche norme (cfr. Cass., 14.02.2000, n. 1638; Cass., 13.12.1999, n. 13956; Cass., 01.08.1991, n. 8470). Tale conclusione muove dall'assunto che "sebbene la fauna selvatica rientri nel patrimonio indisponibile dello Stato, la L. 11.02.1992, n. 157 (recante "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio"), attribuisce alle Regioni a statuto ordinario l'emanazione di norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica (art. 1, comma 3) e affida alle medesime (cui la L. n. 142 del 1990, nel definire i rapporti tra Regioni, Province e Comuni, ha attribuito la qualifica di ente di programmazione e di coordinamento) i poteri di gestione, tutela e controllo, riservando alle province le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna selvatica ad esse delegate ai sensi della L. n. 142 del 1990 (art. 9 comma primo)" (cfr. da ultimo Cass., 16.11.2010, n. 23095, nonché Cass., 13.01.2009, n. 467; Cass., 07.04.2008, n. 8953; Cass., 24.10.2003, n. 16008; Cass., 24.09.2002, n. 13907). Non sarebbe, peratro, mai configurabile una responsabilità concorrente o esclusiva dell'ente provinciale, poiché, quand'anche la regione avesse delegato i relativi poteri e funzioni alla provincia, essa rimarrebbe responsabile in quanto "la delega non fa venir meno la titolarità dei poteri di gestione e deve essere esercitata nell'ambito delle direttive dell'ente delegante" (cfr. Cass., 01.08.1991, n. 8470).
Secondo un opposto orientamento, sostenuto prevalentemente da una parte della giurisprudenza di merito, la responsabilità aquiliana per danni da fauna selvatica andrebbe ascritta esclusivamente alle province, sul rilievo che ad esse spetta l'esplicazione delle concrete funzioni amministrative e di gestione della fauna, nell'ambito del loro territorio, in forza dei compiti rilevanti di volta in volta attribuiti dalle singole leggi regionali.
In posizione mediana tra le due diverse tesi si colloca una terza soluzione, da ultimo propugnata dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass., 08.01.2010, n. 80), secondo la quale non è possibile aprioristicamente imputare alla regione o alla provincia la responsabilità per i danni provocati alla circolazione stradale dalla fauna selvatica, dal momento che i principi generali in tema di responsabilità civile impongono di individuare il responsabile dei danni nell'ente a cui siano concretamente affidati, con adeguato margine di autonomia, i poteri di gestione e di controllo del territorio e della fauna selvatica ivi esistente, e che quindi sia meglio in grado di prevedere, prevenire ed evitare gli eventi dannosi del genere di quello del cui risarcimento si tratta. Sulla scorta di tali considerazioni, la Suprema Corte ha affermato il seguente principio:"La responsabilità aquiliana per i danni provocati da animali selvatici alla circolazione dei veicoli deve essere imputata all'ente, sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione, ecc., a cui siano stati concretamente affidati, nel singolo caso, i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata, sia che i poteri di gestione derivino dalla legge, sia che derivino da delega o concessione di altro ente (nella specie della Regione). In quest'ultimo caso, sempre che sia conferita al gestore autonomia gestionale ed operativa sufficiente a consentirgli di svolgere l'attività in modo da poter efficaciemente amministrare i rischi di danni a terzi, inerenti all'esercizio dell'attività, e da poter adottare le misure normalmente idonee a prevenire, evitare o limitare tali danni".
Il Giudice del Tribunale di Vasto, tuttavia, nella citata pronuncia non ha ritenuto soddisfacente nessuna delle tre impostazioni descritte, proponendo sostanzialmete una quarta via: stante la sovrapposizione di competenze, poteri e funzioni tra regioni e province, la responsabilità non può essere ascritta ad uno solo di essi, ma ad entrambi gli enti, i quali, pertanto, sono corresponsabili, sia pure a diverso titolo, dei danni provocati dalla fauna selvatica e possono essere chiamati a rispondere, in solido, dei prergiudizi lamentati dagli utenti della strada.
Passando alla realtà trentina, la legislazione provinciale - data la massiccia presenza sul territorio (pressoché totalmente montano) di fauna selvatica di grossa taglia (ungulati in particolar modo) e conseguentemente la maggior probabilità del verificarsi di incidenti stradali legati ad essa - ha approntato un meccanismo di indennizzo in caso di incidente, che prescinde totalmente da qualsiasi accertamento giudiziale della responsabilità in capo alla P.A.
Tale meccanismo è regolato dall'art. 26 comma 3 bis L.P. 9 dicembre 1991, n.24 (recante "Norme per la protezione della fauna selvatica e per l'esercizio della caccia"), nonché dalle delibere della Giunta Provinciale n. 1338 del 18 giugno 2004 e n. 1370 del 07 luglio 2006.
In particolare l'art. 26 comma 3bis L.P. 24/1991 stabilisce che "per far fronte ai danni non altrimenti risarcibili causati dall'investimento di ungulati lungo strade comunali, provinciali e statali, escluse le autostrade, per caso fortuito o forza maggiore, la Provincia può corrispondere un indennizzo al danneggiato, sempre che il danno non sia connesso a violazioni del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada). Le modalità per la concessione dell'indennizzo, e quant'altro fosse necessario per l'attuazione di questo comma, sono stabilite dalla Giunta Provinciale, anche mediante polizze assicurative".
Circa le modalità concrete di corresponsione dell'indennizzo le citate delibere proviciali prescrivono che:
"Art. 5. Domanda di indennizzo. Fermo restando l'obbligo di denuncia di cui all'art. 26 della L.P. 24/1991, al verificarsi dell'investimento, il beneficiario ai sensi dell'art. 3 presenta domanda, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla data dell'investimento al Servizio competente in materia di fauna della Provincia Autonoma di Trento.
La richiesta di indennizzo è corredata dalla seguente documentazione:
a) copia della carta di circolazione e del foglio di possesso attestanti il diritto di proprietà o di altro diritto reale sul veicolo;
b) verbale di incidente redatto dai soggetti di cui all'art. 12 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, qualora intervenuti sul luogo del sinistro;
c) dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà attestante le circostanze di fatto del sinistro, da cui risulti la data e l'ora del sinistr, la dinamica del medesimo e l'indicazione della circostanza di aver richiesto l'intervento dell'autorità di cui alla precedente lettera b), e dell'impossibilità di quest'ultima di intervenire sul posto;
d) eventuali rilievi fotografici o ogni altro documento idoneo a ricostruire il fatto ed i danni prodotti dall'investimento dell'ungulato;
e) attestazione che il beneficiario non è titolare di polizze assicurative per i danni alle cose ed alle persone oggetto della domanda di indennizzo o, in caso contrario, copia degli eventuali contratti di assicurazione (ad esempio, CASKO sul veicolo, contratti di assicurazione per spese mediche, sanitarie o per danni alla persona);
f) attestazione di non aver beneficiato di provvidenze pubbliche per i danni che formano oggetto della domanda di indennizzo;
g) fatture relative alla riparazione del veicolo o preventivo riportante l'ammontare del costo della riparazione dei danni subiti compilato da una ditta o da un perito iscritto all'albo;
h) fatture per spese mediche o trattamenti sanitari ed eventuali cartelle cliniche o perizie medico-legali attestanti le lesioni subite;
i) in caso di lesioni mortali, certificato di morte e certificazione della qualità di erede o avente causa del deceduto in seguito all'investimento;
l) dichiarazione di rinuncia all'azione civile e di risarcimento danni nei confronti della pubblica amministrazione, nonché dei dipendenti della medesima".
Infine, circa l'entità dell'indennizzo il successivo art. 7 prevede che:
"Art. 7. Entità dell'indennizzo. L'indennizzo è corrisposto:
a) in caso di danno al veicolo, nella misura del 70% del danno subito dal veicolo, fino all'ammontare massimo di 10.000,00 euro;
b) in caso di lesione dell'integrità fisica della persona che comporti invalidità permanente, con un ammontare massimo di euro 150.000,00 in base alle percentuali previste dalle tabelle Inail. Per i danni alla persona è applicabile una franchigia del 5% riassorbibile al 15%;
c)in caso di morte, nella misura pari a euro 200.000,00"
Fermo quanto sopra, comunque non sarà corrisposto l'indennizzo se l'effettivo ammontare di tutti i danni subiti non supera l'importo di 500,00 euro (cfr art. 3).
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