Si porta all’attenzione un caso particolare sottoposto al Tribunale di Trento – Sezione Riesami relativo ad un sequestro avvenuto in Val Rendena di strumentazione per lo svolgimento di attività di tatuaggi e piercing. All’indagato viene contestato l’art. 348 del codice penale cioè esercizio abusivo di professione, come riportato testualmente nel capo di imputazione: “poiché dagli atti d’indagine compiuti dalla Stazione Carabinieri di Spiazzo si trae fondato motivo per ritenere che sulla persona e nei locali posti nella disponibilità dell’indagato possano rinvenirsi elementi utili all’accertamento di quanto contestato (in particolare quanto utile all’esercizio della professione di tatuatore); poiché dai medesimi atti si trae fondato motivo per ritenere che sulla persona dell’indagato presso la sua abitazione (residenza, domicilio, dimora) nonché nelle relative adiacenze e pertinenze o comunque in locali nella disponibilità dell’indagato nell’autovettura in disponibilità del medesimo e sul luogo di lavoro abituale possano rinvenirsi cose pertinenti al reato per cui si procede”. La tesi difensiva dell’avv. Andrea Antolini nell’impugnazione al Tribunale del Riesame del sequestro probatorio della strumentazione relativa all’attività di tatuaggio si è basata su due ordini di ragioni: a) la norma penale di cui al 348 è applicabile alle professioni protette ai sensi dell’art. 2229 c.c., cosiddette professioni intellettuali e appare veramente difficile inquadrare l’attività di tatuatore nell’alveo delle suddette professioni intellettuali; peraltro la pratica del tatuaggio è stata più volte sottoposta al vaglio della Corte di Cassazione, la quale in plurimi arresti – posto che l’art. 348 c.p. è norma penale in bianco che postula l’esistenza di altre norme giuridiche che qualificano una determinata attività come professione e prescrivono per essa una speciale abilitazione dello Stato e l’iscrizione in uno specifico albo – ha confermato la non riconducibilità di tale attività all’interno delle professioni sanitarie; b) ne discende che l’attività di tatuatore, non essendo ricollegabile a nessuna delle professioni regolamentate e non essendo a sua volta disciplinata da una legge specifica che ne regoli lo svolgimento e l’iscrizione al relativo albo, non possa essere oggetto della tutela cui l’art. 348 c.p. è preposto; sul punto l’accusa ha ipotizzato il reato sulla base del fatto che a livello provinciale vi sarebbe una normativa prevista all’interno della Deliberazione della Giunta Provinciale n. 1967 del 2004 che prevede l’istituzione di un apposito registro dei tatuatori cui i richiedenti possono essere iscritti solo dopo la frequentazione di un corso ed il superamento di una prova teorico/pratica. Ebbene la sussistenza di tale normativa di carattere provinciale – oltre ad essere una particolarità tutta trentina – non può avere alcuna influenza sull’ambito di applicazione della disposizione penale in esame, volta a tutelare l’abuso delle professioni intellettuali regolate con apposita legge statale. Posto che la materia delle professioni non è assolutamente riservata alla potestà legislativa esclusiva della Provincia di Trento e/o della Regione Trentino Alto Adige, a stabilire che la competenza a legiferare in materia di professioni è di appannaggio in primis dello Stato è la stessa Costituzione all’art. 117: la materia infatti è oggetto di potestà legislativa concorrente tra Stato e Regioni e, pertanto, come insegna la stessa Corte Costituzionale, “l’individuazione delle figure professionali e dei relativi profili e titoli abilitanti” sono riservati in via esclusiva allo Stato (cfr. ex multis C. Cost. 217/2015, C. Cost. 253/2003). Del che si deve necessariamente concludere che la citata delibera giuntale n. 1967/2004 non abbia alcun valore ai fini dell’applicazione della norma penale. Infine, occorre rilevare che estendere il dettato dell’art. 348 c.p. anche a professioni non regolamentate con legge statale ma con semplice disposizione regolamentare – fra il resto di carattere provinciale – costituirebbe analogia in malam partem espressamente vietata dall’ordinamento in materia penale (cfr. sul punto Trib. Paola 19.02.2008). Sostanzialmente le motivazioni della difesa si sono basate sul fatto che a livello statale manchi una normativa specifica che predisponga un Albo professionale. Nel dispositivo del Tribunale di Trento – Sezione Riesami – Relatore dott. Ancona che ha accolto il ricorso e revocato il sequestro. Dal provvedimento emerge che l’attività di tatuatore non richiede un’abilitazione specifica che comporti l’esclusività dell’attività svolta.
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