Sempre maggiore attenzione viene posta dalla giurisprudenza alle condotte virtuali, in particolare a quelle di moglie e marito in crisi coniugale.
Questo è quanto emerge da una recente pronuncia del Tribunale di Torre Annunziata (sentenza n. 2643 del 24 ottobre scorso) che ha condannato la moglie a risarcire cinquemila euro di danni al marito per aver resa pubblica la sua relazione con l’amante, tra l’altro attribuendosi, sul profilo di Facebook, lo “status” di separata quando invece era ancora sposata e per averlo offeso a più riprese definendolo “il verme”.
Per il giudice di marito va tenuto presente che i social network sono “piazze pubbliche” che amplificano e rendono noti a una pluralità indistinta di persone i propri comportamenti.
Per questo motivo ostentare un tradimento su Facebook lede gravemente la dignità dell’altro coniuge e posto che, nel caso di specie, non era possibile sanzionare la condotta utilizzando l’addebito della separazione perché la crisi coniugale era sorta prima della relazione extraconiugale, il Tribunale ha deciso di riconoscere al marito il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, liquidato in via equitativa ex art. 2059 c.c.
In questo senso si è espresso anche il Tribunale di Prato (sentenza n. 1100 del 28 ottobre 2016) che ha addebitato la separazione alla moglie che sui social network ha ostentato commenti ammiccanti, immagini provocanti e amicizie ambigue.
Peraltro, la Cassazione (sentenza n. 18853/2011) aveva già stabilito che rendere pubblica una relazione extraconiugale integra gli estremi dell’illecito civile, a prescindere dal riconoscimento dell’addebito, se la condotta causa all’altro coniuge una sofferenza tale da ledere diritti costituzionalmente protetti.
Ora però i giudici di merito vanno oltre, riconoscendo il ruolo pubblico dei social network e la possibilità di ledere la dignità e la reputazione del coniuge anche solo attraverso l’aggiornamento di uno “status”.
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