La Corte Costituzionale con sentenza n. 40/2019 ha riconosciuto l’illegittimità costituzionale dell’art. 73 del DPR 309/1990, co. I laddove dispone la pena edittale minima della reclusione di otto anni, invece che sei anni, per i casi non lievi di coltivazione, produzione, fabbricazione, estrazione, raffinazione, vendita, offerta o messa in vendita, cessione o ricezione, a qualsiasi titolo, distribuzione, commercio, acquisto, trasporto, esportazione, importazione, procacciamento ad altri, invio, passaggio o spedizione in transito, consegna per qualunque scopo o comunque di illecita detenzione, senza l’autorizzazione di cui all’art. 17 e fuori dalle ipotesi previste dall’art. 75 (destinazione all’uso personale), di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III previste dall’art. 14 dello stesso d.P.R. n. 309/1990. Rimane, invece, inalterata la pena prevista nel massimo (anni 20).
L’art. 73 del D.P.R. n. 309/1990, nella sua iniziale formulazione, distingueva il trattamento sanzionatorio dei reati aventi ad oggetto le droghe cd. pesanti rispetto a quello dei reati aventi ad oggetto le droghe leggere. Per i primi era prevista la reclusione da otto a venti anni , mentre per i secondi la reclusione da due a sei anni.
Per i fatti di “lieve entità”, il co. 5 dello stesso art. 73 stabiliva la reclusione da uno a sei anni i fatti concernenti le droghe “pesanti” e con la reclusione da sei mesi a quattro anni quelli relativi alle droghe “leggere”. Il d.l. n. 272/2005, aveva la distinzione fondata sul tipo di sostanza stupefacente, prevedendo solo la pena della reclusione da sei a venti anni per i fatti non lievi e la pena della reclusione da uno a sei anni per i casi in cui fosse applicabile l’attenuante del fatto di lieve entità. La legge n. 10/2014 ha trasformato in fattispecie di reato autonoma il co. V ed il limite edittale massimo della pena è stato ridotto da sei a cinque anni. Con la legge n. 79/2014, tra l’altro, ha diminuito la pena massima edittale prevista per l’ipotesi di lieve entità, fissandola in anni quattro di reclusione. Questo percorso ha determinato questa disparità tra la pena massima edittale prevista dal comma 5 per i casi di lieve entità e la pena minima edittale prevista dal primo comma per le ipotesi di non lieve entità.
Per la Corte la differenza di quattro anni costituisce un’anomalia in contrasto con i principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza della nostra Carte Costituzionale.
La diminuzione da otto a sei anni appare adeguata per i fatti che stanno a confine tra le due ipotesi di reati. La Corte ha ritenuto appropriata la richiesta di ridurre a sei anni la pena minima per i fatti di non lieve entità, al fine di porre rimedio ai vizi di illegittimità costituzionale denunciati.
Tuttavia conclude “è appena il caso di osservare che la misura sanzionatoria indicata, non costituendo una opzione costituzionalmente obbligata, resta soggetta a un diverso apprezzamento da parte del legislatore sempre nel rispetto del principio di proporzionalità".
Non resta che attendere l'intervento del legislatore.
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